Daniel Goleman nel suo famoso best seller Intelligenza Emotiva (1996) illustra che, nelle competenze relazionali, il grande spartiacque si trova fra mente e cuore o, più tecnicamente, fra cognizione ed emozione. Alcune competenze, ad es. il ragionamento analitico e l’expertise tecnico, sono esclusivamente cognitive. Altre combinano pensiero e sentimento e Goleman (1996) le definisce “competenze emotive”.
L’intelligenza emotiva determina la nostra potenzialità di apprendere capacità pratiche basate sui suoi 5 elementi: consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali. La nostra competenza emotiva dimostra quanto, di quelle potenzialità, siamo riusciti a tradurre in reali capacità pronte per essere messe in atto sul lavoro.
La tabella 1, continua Goleman (1996), mostra le relazioni fra le 5 dimensioni dell’intelligenza emotiva e le competenze emotive che a essa attingono. Nessuno di noi è perfetto su questa scala; inevitabilmente, abbiamo un profilo con punti di forza e limitazioni. Tuttavia, come vedremo, gli ingredienti della prestazione eccellente richiedono che si sia dotati solo in un certo numero di queste competenze e che questi talenti siano distribuiti nelle 5 aree dell’intelligenza emotiva. In altre parole le vie all’eccellenza sono molteplici.
Tab.1 La struttura della competenza emotiva
COMPETENZA PERSONALE |
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Consapevolezza di sé | Comporta la conoscenza dei propri stati interiori – preferenze, risorse e intuizioni
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Padronanza di sé | Comporta la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse
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Motivazione | Comporta tendenze emotive che guidano e facilitano il raggiungimento di obiettivi
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COMPETENZA SOCIALE |
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Empatia | Comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui
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Abilità sociali | Comportano abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri
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Fonte: D. Goleman “Lavorare con intelligenza emotiva: come inventare un nuovo rapporto con il lavoro”, BUR, 2:42-43 1995.
IN QUESTA NUMERO DELLA NEWSLETTER approfondiamo la CONSAPEVOLEZZA DI SÉ (l’autoconsapevolezza sul proprio stato emotivo) che è composta di tre competenze emotive
Consapevolezza emotiva: il riconoscimento delle proprie emozioni e dei loro effetti.
Questa consapevolezza, del modo in cui le nostre emozioni influenzano ciò che facciamo, è la competenza emotiva fondamentale. Se ci manca questa abilità siamo sviati dalle emozioni completamente fuori controllo.
I nostri sentimenti sono costantemente con noi, ma troppo raramente noi siamo con loro. Il nostro corpo è adattato a un ritmo più lento. Avremmo bisogno di tempo per riflettere, ma non lo abbiamo, o comunque non ce lo concediamo.
Le persone incapaci di riconoscere i propri sentimenti sono tremendamente svantaggiate. Per alcuni la “sordità” emotiva consiste nell’ignorare i messaggi che il corpo sta cercando di inviare loro (nella forma di mal di testa cronici, attacchi di ansia, mal di schiena) avvertendoli che qualcosa non va.
Tuttavia la consapevolezza di sé può essere coltivata. I nostri valori traducono in ciò che per noi è più importante, ha più potere. La consapevolezza di sé serve come barometro interiore, che valuta se, in ultima analisi, ciò che stiamo facendo (o che stiamo per fare), ne valga davvero la pena. Ciò che davvero alimenta l’entusiasmo dell’individuo per il lavoro è un più ampio senso di scopo e di passione personale. Meno consapevoli siamo di ciò che davvero ci appassiona, tanto maggiore è il rischio di perderci.
La consapevolezza di sé offre una guida sicura che consente si armonizzare le decisioni riguardanti la carriera ai propri valori più profondi.
Accurata valutazione di sé: conoscere le proprie risorse interiori, le proprie abilità e i propri limiti.
Prima di poter guidare gli altri, prima di poter aiutare gli altri, devi scoprire te stesso (Webber, 1996). Tutti i punti deboli possono tradursi in una mancanza di consapevolezza di sé altrimenti sapere dove migliorarsi si traduce in motivazione a concentrarsi dove si è carenti: tutte le competenze importanti sul posto di lavoro sono abitudini apprese. Tuttavia questi miglioramenti non avranno mai luogo se non si compie il primo passo, acquisendo consapevolezza che certe abitudini ci danneggiano e rovinano le nostre relazioni interpersonali. Le persone allora possono cercare attivamente il feedback per sapere come sono percepite dagli altri, e si rendono conto che si tratta di informazioni preziose. In se stessa la consapevolezza è un importante strumento di cambiamento, soprattutto se l’esigenza di cambiare è il linea con i propri obiettivi, con la propria mission o i propri valori fondamentali (e con quelli della propria azienda).
Fiducia in se stessi: una forte percezione del proprio valore e delle proprie capacità.
La fiducia nelle nostre capacità ci dà la sicurezza necessaria per buttarci a capofitto in un’impresa o per assumere con naturalezza la leadership di un gruppo. La fiducia in se stessi non va confusa con l’impulsività. Queste persone riescono meglio di altre a giustificare le proprie decisioni o azioni, e a resistere senza farsi turbare dall’opposizione.
Strettamente correlata alla fiducia in se stessi c’è la self-efficacy, la percezione della propria efficacia, che non corrisponde esattamente alle nostre capacità ma piuttosto alla nostra convinzione. Per garantire la prestazione ottimale non bastano le sole capacità: per usarle al meglio occorre anche credere in esse. Chi crede nelle proprie capacità di prestazione affronta l’impresa con gioia. Esiste uno stretto legame fra conoscenza di sé e fiducia in se stessi.
Ciascuno di noi ha una mappa interiore delle proprie inclinazioni, abilità e carenze.
Bibliografia
- Goleman D. (1995) , Emotional Intelligence, Bantam Books, New York (trad. ital. di Blum I. e Lotti B. (1996) Intelligenza emotiva, Rizzoli , Milano.
- Spencer e Spencer (1993), Competenze at work.
Come sostengono gli autori, le abilità cognitive, da sole, non bastano a distinguere gli individui capaci di prestazioni eccellenti, dal momento che “nelle posizioni manageriali”, nelle professioni, nel marketing e nelle occupazioni tecniche di livello superiore, quasi chiunque ha un QI pari o superiore a 120 e un diploma universitario conseguito presso un buon ateneo. Ciò che distingue gli individui eccellenti in questi ambiti lavorativi è la motivazione, oltre alle capacità interpersonali e politiche”.
- Stemberg R. (1996) , Successful Intelligence, Simon and Schuster, New York.
- Ehringer A. G. (1995) Make Up Your Mind , Merritt Publising , Sata Monica CA.
- Joe Jaworsky citato da Webber A. M. (1996) Destiny and the Job of the Leader, Fast Company.
- Bandura A. (1986), Organizational Applications of Social Cognitive Theory, Australian Journal of Management.